Dall’entrata in vigore della legge 40 del 2004, in tema di Procreazione Medicalmente Assistita, vari aspetti sono cambiati, tra cui la diagnosi preimpianto ( PGD ). Dal 2015, anche le coppie portatrici di malattie genetiche (e quindi senza problemi di fertilità) possono scegliere di accedere a questa diagnosi così da poter individuare gli embrioni che realmente attecchirebbero. Purtroppo ci sono ancora svariati ostacoli riguardo questa opportunità, che non è coperta dal SSN e quindi nemmeno inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza ed i costi per effettuare questa diagnosi sono molto elevati e non tutte le coppie possono ricorrervi.
Questa è davvero una lacuna da colmare perché si tratta di una tecnica importante e necessaria per individuare eventuali patologie genetiche del nascituro e per accertare eventuali problemi che potrebbero impedire l’attecchimento dell’embrione in utero e causare aborti spontanei.
La PGD combina l’utilizzo delle tecniche di IVF con le più innovative ricerche in campo genetico. I pazienti che richiedono l’accesso alle tecniche di diagnosi preimpianto inizieranno un trattamento di procreazione medicalmente assistita (PMA) che permetterà il recupero di ovociti da fertilizzare con gli spermatozoi paterni. Una volta che si è ottenuta la fertilizzazione, dagli embrioni ai primi stadi di sviluppo (day 3), si preleveranno una o due cellule (blastomeri) il cui DNA sarà analizzato in maniera specifica, in relazione al tipo di malattia genetica che da diagnosticare. Gli embrioni che risulteranno non affetti dalla patologia genetica, si potranno dunque trasferire in utero ed ottenere così una gravidanza senza la specifica malattia.
FONTE: http://www.laboratoriogenoma.it